venerdì 15 luglio 2011

Roma Tango Meeting, Caput Mundi dell'emozione tanguera


La prima volta al Roma Tango Meeting.

Un’esperienza che ha lasciato il segno. Un segno indelebile nella mia anima tanguera più profonda, così profondo da superare le mie pur grandi aspettative. Già coniugare il fascino senza tempo della Caput Mundi con la passione tanguera sulla carta risulta un binomio vincente. Ma la realtà ha in modo netto oltrepassato fantasie e viaggi mentali.

Sono stati quattro giorni intensi, tutti nel segno della convivialità tanguera e della voglia di tango che hanno contagiato le austere e rigorose geometrie razionaliste del Salone delle Fontane. Mai contrasto genera dionisiaca passione, l’archiettura ordinata ed onirica di stampo dechirichiano, permettemi il neologismo, o meglio i vuoti e pieni di Sironi che si sposano con la follia creativa di quello che solo apparentemente può definirsi ballo, ma in realtà è un vero e proprio universo, un cosmo di movimenti, personalità, emozioni, musica, dinamica.

Carlo Paolantoni ha organizzato un evento bellissimo sotto ogni punto di vista, che non ha concesso il fianco ad alcuna sbavatura, coadiuvato da un team di amici mossi in primo luogo dalla passione, e dalla voglia di superare ogni ostacolo. Si potrebbe obiettare che è facile ottenere un successo con una location simile ed un cast di artisti di tale portata. Assolutamente no. Bisogna calibrare ogni minimo dettaglio, accogliere il pubblico e farlo sentire in un’atmosfera familiare, scegliere le luci ad hoc per ogni momento della serata, programmare i temi delle classi secondo le esigenze dei partecipanti ed ultimo, non banale, motivare i ballerini a dare il massimo. Come se dall’esibizione al Salone delle Fontane dipendesse l’esito di carriere già fulgide da tempo. Vedere mille persone ballare piacevolmente fino all’alba, applaudire senza interruzioni le performance dei maestri e richiedere bis alle orchestre, è personalmente una gioia che rinnova ogni volta la mia affezione verso questo mondo. Dove l’afflato poetico del pubblico interagisce con la vis creativa degli artisti argentini. È da questa relazione che prende linfa vitale ed ogni volta supera se stesso il tango. È da questa combinazione di cui ancora nessuno riesce a detenere la formula alchemica che scaturisce una naturale ed affascinante evoluzione che rende il tango argentino irriducibile a qualsivoglia altro ballo / danza.

Perché quando al Salone delle Fontane assistiamo alla performance di Chicho e Juana entriamo direttamente in un universo dove poter accedere magicamente alla “stanza di controllo delle emozioni”. Quelle emozioni che affiorano prepotentemente nell’interpretazione suggestiva di Fabian e Lola de “Ultimo Tango en Buenos Aires”, nella più che ontologicamente corretta “La vida es una milonga” magistralmente eseguita da Damian e Celine, o “Mi dolor “ grondante un abbagliante pathos di Sebastian e Mariana. Ho registrato davvero delle performance di altissimo livello, In quattro giorni si sono succedute tutte le possibilità dello scibile tanguero, in grado di soddisfare amanti dell’improvvisazione, della coreografia, del salon, dell’innovazione, delle sonorità classiche e contemporanee con un unico comune denominatore, il tango. Quando questo è rappresentato ai massimi livelli trasfigura genesi popolare e ricerca artistica creando un mix straordinario che nella cornice del Salone delle Fontane diventa quasi irripetibile.

Spesso dicono che la musica dal vivo rappresenti un freno alla voglia di ballare, forse è una definizione che non si addice all’Hyperion Ensemble che ha sciorinato uno dietro l’altro dei reimpipista incredibili con il pubblico incollato al piso che avrebbe voluto continuare a ballare sulle note di questa che ormai è l’orchestra per antonomasia dei festival.

Tante sono le immagini che si affastellano nella mente ma quella che emerge con arrogante irruenza è l’alba che fa capolino come per magia dalle vetrate del Salone delle Fontane. Ed allora, abbandonare dopo le 06.30 questo luogo incantato per ritornare a casa, attraversando in auto una Roma placida e assonnata vale di per sé il prezzo del biglietto. Eccoci inaspettatamente protagonisti di un dipinto di De Chirico. Che il tango al Salone delle Fontane, come avevo già scritto in precedenza sia davvero metafisico?

giovedì 14 luglio 2011

Here's the Blaxploitation


Tra i tanti simboli degli anni’70 c’è di sicuro quel filone del cinema di genere che vede protagonisti poliziotti di colore con modi sbrigativi ed irruenti alle prese con una criminalità violenta e crudele dedita a sordidi affari di droga. È la blaxploitation, fusione di nero ( black) e sfruttamento ( exploitation). E fu subito boom di incassi con relativo successo degli attori fra cui la leggendaria futura musa di Tarantino in Jackie Brown, Pam Grier , e dei produttori, dato il basso costo per la realizzazione delle pellicole. Improvvisamente per un mondo, quello afroamericano, da sempre ai margini del cinema, si schiudevano le porte della fama e della gloria, cui di certo hanno contribuito le splendide colonne sonore firmate dai migliori nomi della black music dell’epoca. Come non ricordare l’immortale Isaac Hayes, il mitico James Brown, o i temi composti dal leggendario Curtis Mayfield. Certo, rivisti con gli occhi di oggi, un pubblico più che smaliziato troverà da sorridere ripensando a quella che all’epoca sembrava una violenza ipertrofica , e soprattutto ritengo salvi soltanto una manciata di pellicole nel polverone di una produzione prolifica. Su tutti ovviamente i due capolavori assoluti Shaft e Superfly. Il primo con protagonista un detective privato afroamericano alle prese di un duro conflitto tra mafia e forze dell’ordine, mentre il secondo che glorifica le imprese di un piccolo spacciatore che cerca di fare il grande salto nella malavita. Il boom convinse poi le major cinematografiche a cercare di rileggere qualsiasi genere in chiave blaxploitation, ed allora spazio all’horror di Blacula o alle atmosfere erotiche di Coffy. Dopo un oblio di quasi un ventennio colpo di coda con jackie Brown del Dio Tarantino. Ma che nostalgia di quelle musiche così suadenti e grovin’ e di quella fotografia sporca ed intrigante…

L’INCREDIBILE MONDO DI AUTHORITY


Un gruppo di super eroi cinico e disincantato al di là del bene e del male che si trova addirittura a combattere Dio, sebbene questo nella serie sia “solo” il creatore della terra.

Warren Ellis firma con The Authority un capolavoro assoluto che rinnnova scardinando i comics di fine millennio. Il lettore si troverà in un universo contorto e privo di qualsivoglia fondamento , che trova come sua colonna portante e cifra stilistica la violenza. Violenza che ridefinisce a tutto tondo i protagonisti geniali e simili a noi, perché anche se super eroi, vivono e condividono le debolezze e le inquietitudini degli umani.

Un percorso di rara bellezza nel mondo dei fumetti che ci trasla in un immaginario senza redenzione , e che a tratti ricorda il cupo capolavoro Watchmen!!!

martedì 12 luglio 2011

Incontro di sensi, Venezia ed il tango








Mi sembrava impossibile che Venezia, una delle città storiche della scena tanguera italiana a distanza di tanti anni non riuscisse ad avere un grande evento degno di questo nome. Finalmente si è sfatato questo terribile luogo comune.





L’edizione 2011 del Tango World in Venice, entra di diritto nel novero delle più rilevanti kermesse tanguere nazionale. Certo, un ruolo importante è stato svolto dalla location, il suggestivo Terminal Crociere di Venezia con una bellissima sala in parquet che si affaccia direttamente con una grande vetrata sul bacino acqueo della Serenissima.- Quasi a ribadire con voluttuosa arroganza l’anima portena del capoluogo veneto ed il suo legame indissolubile con l’acqua, un trait d’union con Buenos Aires. Raro vedere un evento costruito con grande perizia ed organizzato nel minimo dettaglio, fin dalla hall dove venivano accolti i partecipanti con stand di ogni genere e soprattutto le affascinanti fotografie di Alexander Portnoy ed il suo esuberante sguardo alla Bruce Weber. Un occhio che prepotentemente scava nell’anima dei ballerini e del pubblico, esaltandone l’anima e la passione. Pareva quasi che il fermento ed il carattere internazionale della Biennale d’Arte si fosse riversato nel Tango World in Venice con appassionati giunti da ogni parte del globo disposti a condividere questa passione con grande affabilità.





Ogni sera l’alternarsi di esibizioni e musica dal vivo. Tutto di altissimo livello. Le cinque coppie di artisti presenti hanno rappresentato un excursus storico nel tango, non solo a livello didattico, ma anche stilistico. Ormai celebrato padrino dell’evento, Miguel Angel Zotto, accompagnato nel suo lungo percorso artistico da ormai cinque anni dalla sua partner Daiana Guspero, in una serata dedicata a lui solo, ha sciorinato con la coinvolgente Daiana una performance da brivido ballando sulle note dal vivo dell’Orquesta Soledad strappando una irrefrenabile serie di applausi al pubblico ed emozionando con il suo consueto connubio di perizia tecnica, passione e Storia, quella con la S maiuscola. Perché ormai da tempo Miguel ha raccolto il testimone di padre nobile del tango, depositario delle fasi transitorie ed evolutive di questo universo, dalla dimensione più intima da milonga, fino ad affrancarsi verso quella da show e teatro, che ha determinato l’autentica tango renaissance nel mondo negli anni’90. Non è un caso se nella realtà italiana, quella che conosco meglio, molti hanno iniziato ad appassionarsi al mondo del 2x4 dopo aver visto gli spettacoli di Miguel che dieci anni fa rappresentavano anche dei tesori da scambiarsi furtivamente attraverso usurate vhs. Diego Escobar ed Angie, nel solco della tradizione e di un adamantino stile salon sono state una delle novità del cast dei maestri. L’importanza di essere chiari e la ricerca di una eleganza sia nella postura che nel movimento caratterizzano questa coppia che, raccogliendo gli umori del pubblico, hanno regalato brividi alla sala. Quegli stessi brividi che l’istrionico Ricardo Barrios con Laura Melo trasmettono con un tango personale, ricercato e mai banale dove l’irruenza creativa del prima si adagia e scivola nella morbidezza e sensualità di movimento della partner. Con il sabato due universi sul tango contemporaneo si sono schiusi in laguna: la dimensione orfica e teatrale di Joe Corbata e Lucilla Cionci, e la polisemica lettura del tango di Sebastian e Mariana. Non due contrapposti che lottano, ma strati di spirito tanguero che somatizzano con il loro incedere coreografico la bellezza e la diversità del tango. Il suo ontologico riverbero di irriducibilità ad una forma precostituita. Ed allora ecco che la classicità aurea delle performance di Sebastian e Mariana siaaffiancano al pathos di Joe e Lucilla, il tutto in un climax di emozioni.





Stupefacente è stato l’apporto della musica live. Conoscevo bene il sanguigno spettacolo del Sexteto Milonguero e l’impatto del suo frontman. La grande novità è stato ascoltare la straordinaria ORQUESTA SOLEDAD. Dalla Russia , come ha detto Miguel Angel Zotto che ha voluto fortemente esibirsi solo con la loro musica, il futuro del tango. Un futuro radioso se ci saranno interpreti di questo livello. Personalmente non avevo mai ascoltato dal vivo un’esecuzione così cristallina, pulita e mai sopra le righe di un’orchestra. Soprattutto nel tango non mi era capitato di poter affermare la qualità dio un concerto pari ad un CD. Sì, stavo proprio ascoltando un CD, che miracolosamente rinverdiva in milonga i fasti di tutte le grandi orchestre del passato. Una autentica estasi tanguera.





Una grande sfida aspetta dunque gli organizzatori del Tango World in Venice. Continuare a proporre un festival di così alto livello, dove grandi numeri equivalgono a grande qualità. Ma sono la passione e la professionalità di Anna e Davide la migliore garanzia sull’esito futuro di un evento che sono certo non tradirà le aspettative degli appassionati da tutto il mondo che sognano di ballare a Venezia.





Nobel = oblio ? o fame?






Spesso capita ai vincitori del premio nobel di cadere nell’oblio ed a distanza di anni vengono totalmente ignorate le ragioni per cui hanno ottenuto un premio così prestigioso.




Fra queste vittime della damnatio memoriae del riconoscimento di Stoccolma rientra di sicuro il grande Knut Hamsun vincitore del Nobel per la Letteratura nel 1920 che ben pochi conoscono e leggono. Di certo ha contribuito a questa situazione l’adesione dello scrittore norvegese al governo filonazista durante la Seconda Guerra Mondiale cui seguì l’internamento in manicomio e la morte in solitudine nella sua casa di Nroholm ultranovantenne nei primi anni’50. Tra le sue opere certamente una delle più affascinanti è il romanzo Fame, sorta di autobiografia bohemienne di un giovane pieno di tantissime speranze ma totalmente squattrinato che cambia e si adatta ai più umili lavori. Riesce dopo molte traversie a farsi pubblicare un articolo e con la paga a sopravvivere qualche giorno, ma l’ostilità della città e della società contemporanea gli fa prendere una drastica decisione: imbarcarsi su una nave russa. Protagonisti sono la fame atavica del giovane bohemienne ed il suo costante oscillare in una realtà sospesa tra il sogno e la cruda oppressione dei bisogni fisici. Indimenticabili sono i monologhi durante le passeggiate notturne, un capolavoro del naturalismo del primo Novecento quando lo spirito vitale di un’intera gioventù sembrava doversi prendere una rivincita ed affrancarsi dalla vecchia e trita società ottocentesca.




Ma l’ombra della tragedia nazista è dietro l’angolo e dalle pagine sembrano affiorare gli echi. E d’improvviso mi appare l’immagine del viandante sul mare di nebbia… una assonanza quanto mai dovuta…







IL CULTURAME CHE PROTEGGE LO SQUALLIDO MACELLAIO BATTISTI






Una delle storie più nere e squallide degli ultimi anni che intreccia terrorismo, bassa politica, radical chic e pseudo cultura antagonista.




È quella denunciata da Giuseppe Cruciani ne " Gli amici del terrorista” un avvincente saggio che narra le vicende dell’assassino Cesare Battisti , pluriomicida che di colpo, grazie al soccorso rosso-radical chic si trasforma in uno scrittore di noir di successo e diventa nella arrogante gauchista parigi di fine millennio un intellettuale di tutto rispetto. Sostenuto da una claque di filosofi (Henri-Levy ), politici (Lula e la moglie di Sarkozy, l’ex modella Carla Bruni) e scrittori ( Vargas, il compagno esegeta biblico De Luca…) ha potuto in maniera del tutto indisturbata vivere ed essere riverito come un maitre a penser ed addirittura passare come vittima degli anni di piombo.




Cercare di comprendere le ragioni di chi ne sostiene l’impunità va ogni oltre umana comprensione, ed alla luce delle ultime vicende con il Brasile che ha negato l’estradizione rende forse plausibile affidarsi come ultima ratio alla giustizia divina, o meglio a qualche improbabile ( sarebbe) giustizia terrena. In Italia c’è ancora un gruppo dir educi intellettuali del terrorismo convinti di poter posizionare sullo stesso piano uno squallido assassino e lo Stato, soprattutto quando Battisti deve la sua grande vena narrativa alle sensazioni vissute in prima persona e di cui non si è mai pentito: ovvero l’assassinio a sangue freddo di vittime non politiche, ma di un criminale comune, che di romantico non ha proprio nulla.




Ma il lato più triste e squallido è l’appoggio di una parte dell’intellighentia nostrana. Sempre dalla stessa parte, e sempre convinta che la violenza diventa necessaria e giustificabile nel processo di cambiamento dello stato. Ma il plotone d’esecuzione per il culturame, quando arriverà?

giovedì 7 luglio 2011

Uomini si nasce, poliziotti si muore


Uno dei polizieschi più brutali e fuori regole del cinema di genere tricolore. Uomini si nasce, poliziotti si muore si avvale di un cast di attori da paura ( Renato Salvatori, Porel, Celi, Lovelock, Dionisio), la sceneggiatura del magico DiLeo ed in cabina di regia il crudele sguardo del “maledetto” Ruggero Deodato.

Anche se ci si schiera dalla parte dei buoni, il duo di poliziotti componenti la famosa squadra anticrimine si nutrono dubbi sulla condotta morale, non a caso le forze dell’ordine qui sparano per prime ed uccidono senza remore, soprattutto quando si ha a che fare con unvecchio boss della mala che cava gli occhi a chi sgarra. Una figura questa magistralmente interpretata dal grande Renato Salvatori alias Pasquini cui il volto così crudelmente popolare caratterizza in una maniera unica.

Deodato celebra con questa pellicola un omaggio al genere poliziesco, per lui una rarità, che subisce una fascinazione perversa del male e della violenza che non conosce alcuna bandiera. Grande merito è comunque l’aver reso la pelicola priva di ogni qualsivoglia forma di ideologia, in un periodo dove si cercava di politicizzare o di sposare alla causa femminista, praticamente tutto. E soprattutto si doveva scendere purtroppo a patti con la tagliente scure della censura.